Dopo il successo delle azioni di sciopero dei lavoratori della piattaforma greca di consegna di cibo a domicilio e-Food [che nel 2021 sono riusciti a ottenere la stabilizzazione di tutti i lavoratori come dipendenti a tempo indeterminato], stavolta sono stati i dipendenti di Wolt a organizzare azioni di sciopero e cortei. Hanno cercato di smascherare l’inaccettabile regime di sfruttamento che esiste dietro la realtà dorata che le piattaforme presentano all’opinione pubblica.
Secondo i dati aziendali Wolt attualmente impiega più di 8.000 addetti alle consegne e ha circa 10.000 domande di persone interessate a lavorare per la piattaforma che giacciono in attesa di risposta.
Solo ad Atene sono impiegati 3.500 fattorini, metà dei quali appartengono a ditte d’appalto indicate con l’accattivante titolo di “gestori della flotta”.
In una dichiarazione l’azienda ha affermato che:
“All’inizio del 2023 Wolt ha aggiornato la sua piattaforma in tutti i mercati del mondo. Il processo di calcolo delle tariffe ora viene eseguito da un algoritmo modificato, che calcola criteri come tempo della consegna, distanza, accessibilità al commerciante o al cliente e disponibilità dei fattorini”.
Il cambiamento delle regole ha causato riduzioni di stipendio in tutti i paesi in cui Wolt opera, come Finlandia, Georgia, Polonia e Cipro, Pertanto a seguite di tale cambiamento si è scatenata un’ondata di mobilitazioni internazionali.
La costante modificazione dell’algoritmo di calcolo utilizzato dall’azienda rende estremamente difficile per i lavoratori verificare con precisione l’esattezza delle retribuzioni. Allo stesso tempo il lavoro è gestito in quote crescenti da subappaltatori, che operano in modo non regolamentato con la benedizione dell’azienda, approfittando del fatto che molti dei lavoratori sono immigrati senza permesso di soggiorno.
Xekinima, l’organizzazione greca della rete Internationalist Standpoint, ha parlato con un lavoratore Wolt, Arif Hangera, delle condizioni di lavoro e delle mobilitazioni dei lavoratori. Arif è un migrante pakistano e vive in Grecia da 21 anni. Lavora per Wolt da 2 anni.
Arif, qual è la situazione a Wolt oggi?
La situazione è difficile. Abbiamo continui tagli ai compensi che riceviamo per ogni ordine. Quando Wolt ha iniziato il compenso era di quasi 3 euro a consegna. Poi è passata a 2,10, poi a 1,75 e dallo scorso marzo a 1,45.
Sono stati aboliti diversi bonus, come quello per le consegne in caso di pioggia, che era di un euro ciascuna, quello per il lavoro dalle 8 alle 11 di sera, che era di 40 centesimi e per il lavoro nei fine settimana, che era di 2 euro e 50.
L’attrezzatura (caschi, scarpe, impermeabili, ecc.) è a nostro carico e ha un costo di oltre cento euro. Inoltre paghiamo anche il box col logo aziendale che mettiamo sulle nostre biciclette, che costa duecento euro.
I nostri colleghi che lavorano per gli appaltatori e la maggior parte dei quali sono immigrati dal Pakistan, dal Bangladesh, dall’Afghanistan, dalla Georgia, dall’Albania, ecc. non sono assicurati e devono versare il 25%-30% del loro stipendio alla propria ditta.
Chi tra noi è un freelance vuole che il ricorso alle ditte d’appalto sia abolito e che i colleghi che vi lavorano siano assunti da Wolt anche loro come lavoratori autonomi, in modo che i padroni non possano dividerci e che tutti insieme otteniamo più lavoro, assicurazione e salari migliori.
Chiediamo che anche il bonus per la pubblicità e i danni alla moto sia aumentato per tutti a 50 centesimi per ordine. Attualmente è di 41 per i freelance e di 21 per chi è in appalto.
Infine, dobbiamo abolire l’attuale sistema di rating da parte dei clienti, per cui bastano due-tre reclami su una massa di 8.000 ordini per perdere il lavoro. Molti dei reclami hanno motivazioni razziste e vengono fatti a colleghi immigrati.
Qual è stata la partecipazione e i risultati degli scioperi che avete fatto?
Il primo sciopero è stato nel 2020 e in quell’occasione c’è stata anche una manifestazione, che si è svolta in piazza Syntagma ad Atene.
Poi ce n’è stato un altro nel 2022, ma il più importante e partecipato è stato quello che abbiamo tenuto di recente, dal primo al 3 aprile di quest’anno.
La richiesta principale era che la tariffa per il singolo ordine non venisse ulteriormente ridotta.
Al corteo diretto alla sede centrale dell’azienda hanno partecipato 2.500 lavoratori in bicicletta.
Davanti ai principali negozi ci sono stati picchetti per impedire di effettuare le consegne. In tre giorni l’azienda ha subito perdite per milioni di euro.
Abbiamo scioperato anche il 29-30 aprile e il primo maggio, ma la partecipazione non è stata altrettanto elevata.
Le nostre richieste fondamentali, però, non sono state accettate. L’unico risultato che abbiamo ottenuto è stato che mettessero un tetto di mille euro ai salari delle ditte d’appalto e imponessero una riduzione del 10% del personale, per porre un freno agli appalti. Questo è stato il principale motivo di disaccordo coi lavoratori migranti, che, di conseguenza, non hanno partecipato allo sciopero, perché si sono resi conto che non avrebbero potuto lavorare più ore per aumentare il proprio reddito, a causa del tetto di 1.000 euro, di cui 250-300 vanno agli appaltatori. Molti migranti, infatti, per aumentare il loro stipendio e compensare la commissione che versano alla propria ditta lavorano fino a 10-12 ore.
Anche questa è una conseguenza del divide et impera utilizzato dalle multinazionali nei confronti dei lavoratori. Si tratta di un problema che dobbiamo affrontare tutti insieme coi sindacati della nostra zona (il Sindacato dell’Alimentazione e del Turismo dell’Attica, l’Assemblea dei Lavoratori di base degli Autisti di Biciclette e il Sindacato dei Distributori Alimentari Autonomi dell’Attica).
I colleghi migranti che lavorano nel settore degli appalti, come me, non devono temere di rimanere senza lavoro per colpa della piattaforma dello sciopero. In molti luoghi di lavoro i padroni dividono lavoratori vecchi e nuovi, a tempo pieno o part-time, per creare delle contraddizioni e sfruttarli.
Perciò bisogna spiegare con molta pazienza e perseveranza che non dobbiamo permettere che nessun collega, sia esso autonomo o dipendente di una ditta, venga licenziato. La nostra richiesta è che vengano assunti tutti da Wolt, in modo che tutti possano avere un’assicurazione, le prestazioni sociali e una retribuzione migliore. Le ditte d’appalto ricavano i loro profitti detraendoli dal salario che dovremmo ricevere da Wolt, visto che lavoriamo per la piattaforma.
Ma la conclusione a cui sono giunto nel corso degli anni è che vale la pena di lottare, altrimenti ci saranno nuovi tagli ai salari, lavoro non assicurato, incidenti sul lavoro, ecc.